LA SOCIETÀ CIVILE IN HEGEL
Critica e ricostruzione
concettuale
Traduzione di Dante Pattini
Ediciones del Pilar, Buenos Aires, 2014, 179 pagine
Il progetto etico sviluppato da
Hegel nei suoi Lineamenti di Filosofía
del Diritto contemplava di recuperare la bella
totalità della polis greca – ideale
giovanile a cui non rinunciò mai – senza perciò negare all’individuo – e qui la
novità della sua concezione etica matura – il legittimo diritto a una esistenza
libera e autonoma. Ma nello sviluppare il principio della particolarità, nucleo
del concetto di società civile, il suo movimento immanente e necessario sfociò,
direttamente, in crisi economiche strutturali, i cui conflitti civili
minacciavano di infiltrarsi nel campo politico, rendendo illusoria quella
riconciliazione etica sostanziale che Hegel si aspettava dallo stato. Fu allora
che, per salvare il suo progetto politico, incompatibile con l’antagonismo
sociale che le crisi generano, relegò quest’ultime su un secondo piano
concettuale ed espositivo in contraddizione con i suoi stessi principi
metodologici.
Nel presente lavoro
l’autore propone di sviluppare una ricostruzione concettuale ed espositiva
della società civile, al fine di ripristinare lo spiegamento dialettico
interno, scartando le determinazioni non pertinenti ed estranee alla sua
razionalità, le determinazioni spurie su cui Hegel costruì l’utopia di uno
Stato che riconcilia senza fratture gli interessi particolari con i fini
universali della comunità.
La versione spagnola di questo saggio di Mazora appare nella bibliografia su Hegel nella Historia de la filosofía di Antiseri e Reale (Ed. San Pablo, Bogotá, 2010) e nella Enciclopedia de obras de filosofía diretta da Franco Volpi (Ed. Herder, Barcelona, edizioni 2005 e 2011).
Martín
Mazora è nato a Buenos Aires nel
1954, e risiede attualmente a Gorizia (Italia). È Professore di Filosofia,
formatosi all’Università di Morón (Argentina). Ha insegnato e fatto ricerca
presso questa Università, in quella di Buenos Aires e nella Università
Nazionale di San Martín, dove ha anche ricoperto la carica di Pro-Rettore per
gli affari accademici. È curatore e autore nel volume Saber del Tiempo, Tiempo del Saber (1997) e autore di tre saggi: La Sociedad Civil en Hegel. Crítica y reconstrucción conceptual (2003),
Espíritu y lógica del cristianismo. Dos
ensayos sobre Hegel (2005), e Marx
discípulo de Engels. Una lectura no marxista de la génesis del marxismo, di prossima pubblicazione. Inoltre, è autore di tre
romanzi: María Magdalena condenada
(2004), El doble y sus copias (2008)
e Mefisto malherido (2015).
Nuova edizione: Aracne editirce, Ariccia 2015, 172 pagine
Nuova edizione: Aracne editirce, Ariccia 2015, 172 pagine
LA SOCIETÀ CIVILE IN HEGEL
Critica e ricostruzione
concettuale
INDICE
PREFAZIONE ALLA PRIMA EDIZIONE
PREFAZIONE ALL’EDIZIONE ITALIANA
INTRODUZIONE
1. Logica dialettica ed eticità
2. Spiegamento concettuale dei Lineamenti di Filosofia del diritto
I. LA SOCIETÀ CIVILE: VIZI
CONCETTUALI ED ESPOSITIVI (IPOTESI)
3. La crisi di sovrapproduzione e il mercato mondiale-coloniale
4. La crisi di sovrapproduzione e
la dimostrazione scientifica del concetto di stato
5. Una partizione espositiva
estranea alle determinazione del concetto
6. Crisi della corrispondenza
strutturale tra logica e diritto
7. Differenza delle abilità o
disuguaglianza dei patrimoni?
8. Necessità di una ricostruzione
concettuale ed espositiva della società civile
II. ANALISI CRITICA DELLA STRUTTURA ESPOSITIVA
DELLA SOCIETÀ CIVILE
9. La società civile secondo
l’ordine dell’esposizione
10. La dialettica: un percorso
circolare, non una linea retta
11. Critica della divisione
tripartita del capitolo
12. Bilancio provvisorio
III. COMPLESSITÀ DEL PASSAGGIO DALLA SOCIETÀ CIVILE
ALLO STATO
13. Il sistema dei bisogni
14. Possibilità condizionata di
partecipazione al patrimonio generale
15. La necessaria disuguaglianza
dei patrimoni e le abilità
16. Tre mediazioni parallele
IV. RISCATTO CONCETTUALE DEL PRINCIPIO DELLE
DISUGUAGLIANZE PATRIMONIALI
17. Risignificazione concettuale
del sistema dei bisogni
18. La crisi di sovrapproduzione
come contraddizione dialettica del concetto
19. Le disuguaglianze
patrimoniali e il concetto di classe
20. Il potere di polizia come
unica Aufhebung della eticità civile
21. Risultati del riscatto
concettuale
V. DEPURAZIONE DELL’ARGOMENTO DELLA
DIFFERENZA DELLE ABILITÀ
22. Irrilevanza concettuale della
teoria degli Stände
23. Anacronismo della
corporazione dei maestri
24. Insostanzialità concettuale
della Aufhebung corporativa
25. La differenza delle abilità e
la sua proiezione sullo stato
26. Il nucleo classista delle
nozioni hegeliane di Stand e
corporazione
27. Conseguenze politiche della
depurazione concettuale e storica
VI. IL CONCETTO DI MERCATO MONDIALE-COLONIALE
28. Il verace fondamento della Filosofia del diritto
29. Limiti della sovranità e
indipendenza dello stato hegeliano
30. Il mercato mondiale-coloniale
come chiave della storia moderna e contemporanea
31. Popoli dominanti e popoli
arretrati nella storia universale
APPENDICE I: Analisi critica dei lavori di J.E. Dotti e G. Marini
APPENDICE II: L’Antropologia dialettica di Darcy Ribeiro
APPENDICE III: Riepilogo
BIBLIOGRAFIA
I. LA SOCIETÀ CIVILE: VIZI CONCETTUALI ED
ESPOSITIVI (IPOTESI)
3. Le crisi di sovrapproduzione
e il mercato mondiale-coloniale
Con il
concetto di società civile [1] – istanza di scissione etica tra la famiglia e lo
stato – Hegel pensa alla complessa rete di relazioni e istituzioni sociali,
economiche e giuridiche della società capitalista industriale, una rete che, in
principio, era già stata spiegata dall’Economia politica classica: “Smith, Say,
Ricardo” (FD.Ann.§189). Ma fu una sua originalità aver concepito questa trama socioeconomica – e “concepire” in Hegel ha
sempre implicazioni di Notwendigkeit [necessità logica] – nel contesto di
una totalità più ampia, e pertanto più concreta, di quella della sola società
civile. Ed Hegel si rende conto del fatto che lo sviluppo del processo
produttivo, “quando opera senza impedimenti”, accresce in tal misura
“l’accumulazione delle ricchezze” (FD.§243) che l’offerta dei beni arriva a
superare la capacità di assorbimento del mercato interno. C’è un “eccesso di
ricchezza” che, paradossalmente, genera un “eccesso di povertà” (FD.§245), e
dato che si rende necessario ridurre
il ritmo di produzione appare il fenomeno della disoccupazione, con il che il
livello della domanda si comprime sempre più, aggravando, di conseguenza, gli
effetti recessivi del processo. Queste crisi
di sovrapproduzione, e il loro caratteristico circolo vizioso, tennero in
bilico il sistema capitalistico fin dalle prime tappe della rivoluzione
industriale. Marx vi intravvide il germe che, inesorabilmente, avrebbe condotto
il sistema al suo stesso annichilimento [2]. Hegel, al contrario, vide in questa contraddizione immanente alla società
borghese un principio vivificante della sua industria e del suo commercio,
nella misura in cui, obbligandola a conquistare colonie (FD.§246), creava le
condizioni necessarie non solo a superare gli scombussolamenti e preservare
l’equilibrio del sistema, ma anche ad assicurare nuove opportunità di espansione
economica, proprio come avvenne. Con il colonialismo, il commercio finì per
strutturarsi come un mercato mondiale [3] (FD.§247) coloniale (FD.§248), ed è precisamente nel contesto di questa totalità più
ampia che, secondo Hegel, si deve concepire la dialettica propria della società
civile moderna.
Proponiamo,
quindi, una lettura del secondo capitolo dell’eticità in termini di uno
sviluppo dialettico, di modo che quella contraddizione fra l’“eccesso di
ricchezza” e l’“eccesso di povertà”, e la sua conseguenza obbligata, la
configurazione di un mercato mondiale-coloniale, si mostrino per ciò che
effettivamente sono: anelli necessari di
un concatenamento logico immanente. In altre parole: il movimento della
società civile sfocia necessariamente in crisi economiche strutturali; queste,
a loro volta, obbligano – sempre necessariamente – al colonialismo, unica via
per il loro superamento. Sopra la configurazione di un mercato
mondiale-coloniale poggia, quindi, la possibilità stessa della società civile
borghese.
4. Le crisi di sovrapproduzione e la
dimostrazione
scientifica del concetto di stato
È
chiaro, però, che senza stato non ci sarebbe la possibilità di estendere il
commercio su scala mondiale né di conquistare popolazioni straniere a cui
esportare le eccedenze economiche e demografiche provocate dalle crisi
(FD.§§247-248); non ci sarebbe la possibilità di implementare piani di
previdenza sociale, prevenzione e controllo del conflitto al fine di garantire
la pace interna (FD.§§231-242); infine, non ci sarebbe la possibilità di
orchestrare politiche estere e interne capaci di neutralizzare le nefaste
conseguenze socioeconomiche degli squilibri ciclici, squilibri che la società
stessa genera e che, tuttavia, è incapace di superare da sola. Pertanto, per dimostrare
il predominio della razionalità politica su quella civile – obiettivo
principale di questa opera hegeliana – non c'è bisogno di invocare imperativi
morali o giudizi soggettivi esterni, ma solo necessità immanenti al sistema produttivo stesso. Il fatto è che,
senza l'aiuto dello stato, le crisi di sovrapproduzione distruggerebbero la
società civile. Da qui, pertanto, Hegel presenta l’eticità politica non come il
frutto di una proposta normativa, non come un progetto etico personale, bensì
come la ultima e necessaria determinazione dell’idea di diritto [4].
“Nella
conoscenza filosofica – avverte l’autore – è la necessità [Notwendigkeit] di un concetto la cosa principale, e l’andamento
dell’esser divenuto, come risultato,
è la sua dimostrazione e deduzione” (FD.Ann.§2). In questa breve considerazione
circa la necessità del concetto e del
suo risultato come fondamento dello
stesso, Hegel esplicita due chiavi fondamentali della sua concezione
dialettica, chiavi che per lo stesso motivo faranno da principi reggitori nella
ricostruzione della società civile che cercheremo di svolgere in questo lavoro.
Ciò ci permetterà di esaminare e sottoporre a giudizio il testo hegeliano sulla
base delle sue proprie esigenze metodologiche. Scopriremo, allora, la rilevanza
teorica delle crisi di produzione, giacché sono queste che installano in seno
alla società civile la Notwendigkeit
di un trapasso alla razionalità superiore dello stato. È solo in virtù di tale
necessità intrinseca che il risultato di uno spiegamento concettuale giunge a
ergersi, e con assoluta legittimità, a fondamento ultimo del tutto. In
filosofia – leggiamo nella Scienza della
logica –, “l’andare innanzi è un
tornare addietro al fondamento, all’originario
ed al vero, dal quale quello, con cui
si era incominciato, dipende, ed è, infatti, prodotto” [5]. Ne deriva che, anche se “nell’andamento del
concetto scientifico lo stato appare come risultato,
[...] nella realtà [Wirklichkeit] è
piuttosto il primo, soltanto entro di
esso la famiglia si modella a società civile, ed è l’idea dello stato stesso,
la quale – conclude Hegel – si dirime in questi due momenti” (FD.Ann.§256).
Se non
si tenesse conto, quindi, delle crisi economiche come istanza di contraddizione
dialettica del processo produttivo, non risulterebbe sostenibile “la dimostrazione scientifica del concetto
dello stato” (FD.Ann.§256) che Hegel persegue nelle sue Grundlinien. Senza di esse l’ambito socioeconomico apparirebbe in
una connessione esterna rispetto a quello politico; in nessun modo lo stato potrebbe
essere considerato il “risultato” necessario dello spiegamento concettuale e,
parimenti, “fondamento” ultimo dell’eticità (FD.Ann.§256).
5. Una partizione espositiva
estranea
alle determinazioni del concetto
Nella Scienza della logica, e a proposito
della questione delle sue divisioni e suddivisioni interne, Hegel ricordava la
necessità che le stesse si trovassero “connesse col concetto, [perché] nella
maniera filosofica di dividere è il concetto
stesso quello che si deve mostrare [muss
zeigen] [6] come
fonte delle sue determinazioni” [7]. E per quel che riguarda le Grundlinien, immediatamente dopo l’Introduzione – Ann.§33, intitolato Partizione –, incontriamo nuovamente la stessa esigenza
metodologica: “Una partizione filosofica è in genere non una partizione
esteriore, classificazione esterna di un materiale sussistente, fatta secondo
un qualsiasi o più criteri di partizione accolti, bensì l’immanente
differenziazione del concetto stesso”. A giudizio di Hegel, pertanto, la
partizione dello sviluppo espositivo non deve dipendere dalla decisione
soggettiva dell’autore o da criteri esterni scelti arbitrariamente, bensì deve
rispondere alle determinazioni oggettive del concetto di volta in volta
considerato. L’indice dell’opera filosofica non sarà, allora, un mero catalogo
dei contenuti trattati, ma una riproduzione del divenire necessario del
concetto, da un’iniziale unità astratta, passando attraverso il processo di
contraddizione interna, fino a sfociare nella Aufhebung finale, risultato e fondamento ultimo di tutto il
movimento.
Come
abbiamo visto, la partizione generale dell’esposizione della Filosofia del diritto dà conto di un
tale spiegamento dialettico: A) diritto astratto o “immediato”, B) moralità o
“la volontà riflessa entro di sé”, e C) eticità, come “l’unità e verità” dei
due momenti precedenti. A sua volta, ciascuno di questi tre stadi riproduce, in
sé, il movimento triadico del tutto. Così, per esempio, l’eticità si suddivide
in a) famiglia, unità etica naturale basata sui vincoli di sangue, b) società
civile, stadio della differenza e dispersione etica dei singoli, e c) stato,
unità sostanziale in cui gli individui conducono una vita universale. Nel
paragrafo 33 – dove si espongono queste divisioni interne dell’opera – troviamo
a loro volta esplicitate le rispettive suddivisioni delle tre istanze etiche.
Ora, nel corso del suo scritto politico, Hegel offre gli argomenti che, in
misura maggiore o minore, giustificano il luogo specifico che ciascuno dei
momenti segnalati occupa nella struttura triadica corrispondente. Tuttavia, e
al di là dell’apparenza dialettica che mostra la partizione, non sarebbe
possibile concepire i tre momenti (espositivi) della società civile in termini
di movimento dialettico. Perché, chiaramente, non ogni tripartizione è per
questo quella singolare triade logica; e il fatto che l’amministrazione della
giustizia occupi il momento intermedio della partizione non significa che essa
rappresenti la contraddizione interna dello spiegamento concettuale; né che la
corporazione, occupando l’ultimo, sia la Aufhebung
che annulla e conserva i due momenti precedenti. Tutto il problema nasce –
questa è l’ipotesi centrale del nostro lavoro – dal fatto che la partizione espositiva del capitolo non
corrisponde alle determinazioni necessarie e immanenti al concetto di società
civile dispiegato nel testo. La celebre partizione tripartita (A. Sistema dei bisogni, B. Amministrazione
della giustizia, C. Potere di polizia e Corporazione) non contempla le
crisi economiche come una determinazione rilevante dell’eticità civile
nonostante costituiscano la contraddizione del sistema produttivo, quella che
giustamente vi installa la necessità
dialettica di un trapasso all’ambito dello stato.
Questo
divorzio tra l’ordine dell’esposizione e l’ordine del concetto non si riduce –
come si potrebbe credere – a una questione puramente formale, ma racchiude
conseguenze di contenuto. Perché le fasi di un movimento dialettico acquistano
il loro significato reale e concreto precisamente in connessione con lo spiegamento
totale dell’idea, spiegamento che la partizione espositiva deve riprodurre in
maniera fedele e puntigliosa, per valere allora come chiave di intellegibilità
e comprensione del concetto, tanto per ciò che concerne i suoi aspetti
particolari, quanto per il suo aspetto universale. Le determinazioni
particolari – avverte Hegel – non devono essere considerate “isolatamente e
astrattamente, bensì invece come momenti dipendenti di una totalità; [solo] in questa connessione esse ricevono il loro
verace significato, così come per tal mezzo la loro giustificazione”
(FD.Ann.§3). Ed è, esattamente, nella partizione espositiva che appare (o
dovrebbe apparire) esplicitata la configurazione globale del concetto, la
connessione strutturale dei differenti momenti particolari con la totalità.
Vedremo
che proprio per non essersi resi conto di quel divorzio e, di conseguenza, aver
supposto che la struttura dell’esposizione corrisponde alla struttura del
concetto – assimilando l’una all’altra –, molti interpreti delle Grundlinien hanno perso il significato
specifico della società civile nei suoi distinti momenti e nel suo insieme.
6. Crisi della corrispondenza
strutturale
tra logica e diritto
Nel suo
scritto politico, Hegel sottolinea, espressamente e in più occasioni, la
corrispondenza tra lo spiegamento concettuale dell’idea di diritto e il
divenire dell’idea nella Scienza della
logica. Già nel prologo all’opera fa le sue prime precisazioni al riguardo:
“Ho sviluppato estesamente la natura del sapere speculativo nella mia Scienza della logica; in questo
compendio è stata perciò soltanto aggiunta qua e là una dilucidazione su
procedimento e metodo” (FD.Pref.p.4; S.4) [8]. Questa corrispondenza tra logica e diritto, tuttavia, non è circoscritta a questioni di
metodo, come quelle citate nei paragrafi precedenti – esigenze metodologiche
che fungeranno da guida nella ricostruzione concettuale ed espositiva che ci
proponiamo di portare a termine –, bensì raggiunge una dimensione strutturale che vizia alla radice la
conclusione politica proclamata da Hegel in chiusura dell’opera, contestando
persino la stessa dialettica come metodo filosofico di conoscenza. Perché sul
presupposto di una tale simmetria veniva garantito che l’unità finale raggiunta
al di sopra di ogni dualismo nel campo della logica pura (ci riferiamo alle
opposizioni finito-infinito, uno-molteplice, identità-differenza ecc.) si
sarebbe imposta anche negli ambiti concreti del diritto (quello morale,
economico, sociale, giuridico e politico), superando in maniera graduale le
distinte opposizioni inerenti agli stessi (fine egoistico - benessere
collettivo, interesse particolare - interesse universale, patrimonio
individuale - patrimonio generale ecc.). In questo modo, Hegel si è assicurato
in anticipo il compimento del proprio ideale etico di una unità politica
“sostanziale” (FD.§258) a prescindere dai mutamenti che sarebbero potuti
sorgere durante lo sviluppo concettuale dell’oggetto lì considerato[9]. Ciò nonostante, giunti al concetto di società
civile – e questo è ciò di cui dovremo occuparci in maniera specifica in questo
lavoro –, quella correlazione soffre, diciamo così, una sorta di cortocircuito
logico. Fino ad allora tutto faceva presumere che anche lo stato avrebbe
consumato la Aufhebung totale che
paradigmaticamente realizza l’idea assoluta nella Scienza della logica. Ma subito dopo aver spiegato il concetto di
società civile, con tutta la ricchezza delle sue opposizioni e antagonismi
interni, il movimento necessario dello stesso è sfociato in quelle crisi economiche
che minacciavano di trasferire sul terreno politico i conflitti e i
risentimenti classisti da queste generati, rendendo illusoria una sintesi
finale delle differenze etiche nella sfera ultima dello stato[10].
L’insuperabile
ostacolo alla realizzazione del suo ideale politico rappresentato da una
società divisa in classi indusse Hegel a praticare una inammissibile
manipolazione sullo spiegamento concettuale stesso, con il proposito di
restaurare la corrispondenza logico-etica perduta. Fu così che, con lo sguardo
rivolto al modello corporativo dell’eticità medievale, dispiegò una linea
argomentativa sulla base della divisione
del lavoro (FD.§198) e la
differenza delle abilità (FD.§200), articolando in essa gli Stände [11] e la corporazione come se realmente costituissero
momenti necessari della moderna razionalità economica. Ha poi imposto
all’esposizione del capitolo una partizione estranea alle determinazioni
interne del concetto, una partizione che – come abbiamo visto – non tiene in
considerazione il momento riflesso dello stesso, cioè quello delle crisi
produttive, la contraddizione immanente al sistema economico liberale. E avendo
inserito la corporazione nella terza fase della partizione, quella
corrispondente alla Aufhebung in una
triade dialettica, è riuscito a creare – e a crearsi – l’apparenza di aver
riconciliato il movimento antagonistico della società capitalista e aver
sgombrato il cammino per la realizzazione dell’unità concreta nell’ambito dello
stato.
7. Differenza delle abilità o
diseguaglianza dei patrimoni?
Nel
paragrafo 200 e nella relativa Annotazione, giusto prima di spiegare la sua
teoria degli Stände, Hegel ammette
che la società civile, lungi dall’eliminare la diseguaglianza degli uomini
creata dalla natura, la riproduce, anche se a partire da condizioni sociali,
raggruppando i suoi membri in funzione della “diseguaglianza dei patrimoni
e delle attitudini [12] [Geschicklichkeiten: abilità]”
(il corsivo è di Hegel), diseguaglianze che al contempo condizionano l’effettiva possibilità dell’individuo di partecipare
al patrimonio generale (si legga: mercato del lavoro e mercato dei beni). A
partire da questa distinzione nodale, l’autore sviluppa due linee argomentative
parallele e indipendenti tra loro, distinguibili di per sé nonostante l’arbitraria
articolazione unilineare con cui i loro rispettivi momenti appaiono ordinati
(sarebbe meglio dire “confusi”) nell’esposizione del capitolo: quella che
riconosce come punto di partenza le disuguaglianze
patrimoniali (crisi economiche e potere di polizia) e quella che deriva
come conseguenza della differenza delle
abilità (Stände e corporazione)[13], concedendo preminenza a quest’ultima in quanto è
attraverso questo alveo concettuale che, essenzialmente, pretenderà di
legittimare il trapasso dialettico dalla
società civile allo stato[14]. Ora, il compito filosofico sarebbe dovuto
consistere qui nel dimostrare in maniera concreta la necessità immanente di
tale movimento concettuale. Aver dimostrato per quale motivo il sistema dei
produttori privati necessiti della
corporazione, in quale senso essa sia pertinente alla razionalità economica
borghese. Riteniamo che l’argomentazione esposta come giustificazione logica di
questa mediazione non risulti sostanziale in una prospettiva dialettica; in
altre parole, che la presenza dell’istituzione corporativa nel passaggio dalla
società civile allo stato sia carente di
Notwendigkeit.
Al
contrario, riteniamo sia nello spiegamento delle disuguaglianze patrimoniali,
che Hegel sviluppa affrontando il potere di polizia dello stato [15] – con la contrapposizione delle classi sociali
(FD.§243), la generazione della plebe (FD.§244), la crisi di sovrapproduzione
(FD.§245), la necessità del colonialismo (FD.§246) e di un mercato mondiale
(FD.§247) coloniale (FD.§248) –, dove è possibile capire chiaramente la necessità per la società civile di una istanza etica superiore – universale
e cosciente – capace di scongiurare il pericolo della propria autodistruzione.
In effetti, l’implementazione di una politica globale di previdenza sociale, la
conquista di mercati stranieri, la pianificazione di una colonizzazione
sistematica e, in ultimo, l’instaurazione di un mercato mondiale-coloniale –
condizioni sine qua non per superare
le crisi ricorrenti –, costituiscono intraprese che per la loro portata
trascendono di molto le capacità limitate dell’iniziativa privata, e risultano
fattibili solamente se si trovano assoggettate a una politica economica
centralizzata (FD.Agg.§248). La linea concettuale che si svolge a partire dal
principio delle diseguaglianze patrimoniali è, quindi, l’unica che legittima in
modo immanente la necessaria subordinazione della società civile rispetto al
potere statale. Solo così si può parlare con proprietà – sulla base del modello
hegeliano di scienza – di una “dimostrazione scientifica del concetto dello
stato”, che mentre diviene “risultato” del processo dialettico dimostra di
essere, proprio per quello, il “verace fondamento” dei momenti etici che la
precedono, cioè a dire, della famiglia e della società civile (FD.Ann.§256).
8. Necessità di una ricostruzione
concettuale
ed espositiva della società civile
Pertanto,
presupposto fondamentale della nostra interpretazione: che la società civile
risulta intellegibile – in termini di principi metodologici che lo stesso Hegel
ha stabilito nella sua opera politica – solo quando la si concepisce sulla base
delle disuguaglianze patrimoniali, cioè sul movimento concettuale che
comprende, come momenti propri, il sistema dei bisogni, le crisi produttive e
il potere di polizia. Però Hegel, cercando di neutralizzare le pericolose
conseguenze socioeconomiche che questa dialettica implicava per il proprio
progetto etico di unità politica sostanziale, l’ha subordinata a un modello
cetuale e corporativo – uno spiegamento parallelo e indipendente da quella
dialettica –, giustificato con l’argomento ovvio ma irrilevante della
differenza delle abilità che, dal canto suo, riconosce come momenti interni al
sistema dei bisogni gli Stände e la
corporazione. Questa astuzia argomentativa gli ha consentito di ristabilire la
corrispondenza strutturale tra logica e diritto e reincanalare il movimento
civile nella direzione della mèta prefissa e riassicurata dalla Scienza della logica. È stato in questo
modo che ha perso di vista la necessità intrinseca al concetto, in senso contrario alla sua stessa prospettiva
metodologica.
Orbene,
va da sé che la nostra proposta di lettura esige non solo una ricostruzione concettuale ma anche espositiva della società civile. Dal
momento che si pretende di riscattare unicamente i contenuti del testo
hegeliano che effettivamente rispondono alla necessità immanente alla cosa stessa, si è obbligati di fatto ad
abbandonare la partizione che presenta il “guscio” espositivo tenuto conto che
questa stessa non corrisponde alle determinazioni interne del concetto.
Al
tempo stesso, e come contropartita del riscatto concettuale, la nostra lettura
impone una depurazione degli altri
contenuti del capitolo che, invece, si mostrano estranei al concetto lì
considerato. Il fatto è che nel testo hegeliano non c’è argomento che possa, in
verità, legittimare la presenza della corporazione medievale nel flusso della
razionalità economica borghese; meno ancora giustificare la posizione di
privilegio che occupa nella partizione espositiva, cioè quella della Aufhebung del movimento civile e, in
conseguenza, la via di passaggio alla sfera politica.
Infine:
a) riscatto concettuale dei contenuti necessari; b) depurazione dai contenuti
superflui; e, per conseguenza, c) ristrutturazione della partizione espositiva,
costituiscono i tre momenti della ricostruzione della società civile che
tenteremo in questo lavoro, in conformità – lo sottolineiamo ancora una volta –
con i princìpi dialettico-metodologici che Hegel collocherebbe nella sua opera,
i quali tuttavia egli sacrificò sull’altare di quella corrispondenza
strutturale logico-etica che gli garantiva una definitiva Aufhebung dei conflitti sociali, economici e politici [16].
Vedremo,
in ultimo, come il necessario spiegamento del concetto – liberato già da ogni
ingerenza esterna e soggettiva – rivela che, a rigore, il risultato ultimo
dell’eticità e, pertanto, il maggior fondamento della Filosofia del diritto, non è lo stato, bensì il mercato
mondiale-coloniale, condizione ineludibile per superare gli squilibri economici
che minacciano di abbattere l’intero sistema liberale di produzione e con esso
il proprio potere politico. Così come la società civile, quindi, anche lo stato
racchiude in sé la necessità di un
trapasso a una totalità dialettica superiore.
APPENDICE III
RIEPILOGO
1. Obiettivo generale del saggio:
esaminare e ricostruire il concetto hegeliano di società civile a partire dai
principi concettuali e metodologici stabiliti, ma al contempo abbandonati,
dallo stesso Hegel. Si tratta di postulati cardinali della sua concezione
dialettica, esplicitati anche nella sua opera politica, vale a dire: a) la
ragione o necessità [Notwendigkeit]
immanente come nucleo del concetto (FD.§2 e relativa Ann.); b) la immediatezza,
la riflessione e il superamento [Aufhebung]
come momenti necessari del divenire concettuale (FD.§33); c) il necessario
adeguamento dell’ordine espositivo all’ordine del concetto (FD.§33); e d) la
totalità come verità dei suoi momenti particolari (FD.Ann.§3).
2. Ipotesi principale: la partizione
espositiva della società civile non concorda con le determinazioni necessarie
del concetto di quest’ultima sviluppato nelle Grundlinien. Il fatto è che la crisi di sovrapproduzione (FD.§245)
– con le sue nefaste conseguenze socioeconomiche (FD.§§243, 244) –, dove
ineluttabilmente sfocia la cieca razionalità del sistema dei bisogni,
nonostante configuri la contraddizione “dialettica” della società civile
(FD.§246), proprio quella che pone in essa la necessità di un trapasso allo stato, non occupa alcun posto in
quella partizione.
2.1. Il significato specifico dei distinti momenti della società civile e
della società civile nel suo insieme varierà, quindi, a seconda che lo si
concepisca da una o dall’altra prospettiva:
2.1.1. Se si adotta come chiave di intellegibilità la partizione espositiva (A. Sistema dei bisogni; B. Amministrazione
della giustizia e C. Potere di polizia e Corporazione), presupponendo –
come ha fatto l’esegesi tradizionale della società civile hegeliana – che la
sua struttura corrisponde alla struttura del concetto, assimilando ingenuamente
una all’altra, allora il sistema dei bisogni emerge come il momento civile di
maggior scissione etica, mentre il movimento generale dell’insieme acquista –
al di fuori di ogni logica dialettica – la forma astratta di una evoluzione
linearmente retta e ascendente;
2.1.2. Se, invece, scegliamo come chiave di comprensione le determinazioni
necessarie impiegate nel testo
hegeliano – prospettiva che adottiamo nella nostra lettura –, allora le crisi
di produzione assumono una notevole rilevanza teorica in quanto si mostrano come
lo stadio di contraddizione dialettica dell’eticità socioeconomica, il
principio motore del suo concetto. Nello spezzare la conciliazione naturale
coniugata dal sistema dei bisogni – che, in tal modo, recupera il suo
significato più proprio, quello dell’unità immediata del concetto – esse
imprimono dialetticità e circolarità
al movimento globale della società civile, legittimando in una maniera
necessaria e immanente il suo ogni oltre modo ingiustificato trapasso alla
razionalità superiore dello stato.
È certo
che entrambe le prospettive si respingono tra loro: mentre l’evoluzione retta e
ascendente dello schema espositivo offre l’immagine di un graduale ma stabile
processo di riconciliazione etica, lo spiegamento immanente e necessario del
testo scorre “al di sotto” verso crisi economiche ricorrenti, divisione in
classi sociali e conflitti civili.
2.2.
Con la sua Filosofia del diritto,
Hegel si proponeva di dimostrare che il predominio dell’eticità politica al di
sopra di quella socioeconomica obbedisce non a imperativi etici soggettivi o
esterni, bensì a necessità intrinseche alla stessa economia borghese. Perché è
proprio la libertà di mercato che reclama una soluzione politica per le crisi
che essa stessa genera e che, senza dubbio, da sé sola è incapace di superare.
Ne deriva che, pur essendo il risultato dello spiegamento concettuale, lo stato
non è qualcosa di condizionato, ma, in verità, il fondante stesso: la società
civile si autodistruggerebbe senza il supporto statale. Pertanto, se venissero ignorate
le crisi di produzione come istanza di contraddizione dialettica del processo,
non risulterebbe possibile – sulla base della concezione hegeliana di scienza
–una “dimostrazione scientifica del concetto dello stato” (FD.Ann.§256):
l’ambito politico apparirebbe in connessione esterna rispetto a quello
socioeconomico; in nessun modo lo stato potrebbe essere considerato il
“risultato” necessario e, perciò, “verace fondamento” della società civile
(FD.Ann.§256).
2.3. E
anche se concettualmente non ha potuto prescindere da esse, Hegel non ha
concesso alle crisi economiche il posto che legittimamente corrisponde loro
nella struttura dell’esposizione. E ciò non è dovuto a una imprecisione
espositiva dell’autore, bensì alla sua propensione a minimizzare la gravità
delle stesse poiché minacciavano di trasferire alla sfera politica la sua
sequela di conflitti sociali, rendendo illusoria la possibilità della
riconciliazione etica “sostanziale” (FD.§258) che Hegel sperava dallo stato.
Il suo
progetto politico mirava a recuperare la bella totalità della polis greca – ideale giovanile a cui non
rinunciò mai – senza per questo negare all’individuo – e qui la novità della
sua concezione etica matura – il legittimo diritto a una esistenza libera e
autonoma. Ma nello sviluppare il principio della particolarità, nucleo del
concetto di società civile, il suo movimento necessario sfociò direttamente in
quelle crisi strutturali che scatenano una contrapposizione classista in seno
alla struttura sociale. Fu allora che, per salvare il suo progetto etico,
incompatibile con la divisione in classi, le relegò in un secondo piano
concettuale ed espositivo in senso contrario ai suoi stessi principi
filosofici.
Per
questo motivo l’obiettivo specifico della nostra ricostruzione consisteva nel
recuperare il momento riflesso della società civile, dimostrare che
effettivamente esiste, benché relativizzato, abbozzato e nascosto dalla Aufhebung parziale che traccia il potere
di polizia. Inammissibilmente la partizione espositiva lo incasella in questo
processo di riconciliazione etica – come se facesse parte dello stesso –
quando, paradossalmente, costituisce proprio quello che il potere di polizia
deve superare ed eliminare.
2.4.
Questo potere dello stato (FD.§287) dimostra di essere l’unica istanza capace
di superare le crisi civili facendo delle eccedenze economiche e demografiche
da esse generate – e il negativo diventa positivo – forze attive di una
penetrazione coloniale “sistematica” (FD.§248), i cui benefici consentiranno di
recuperare l’equilibrio perduto potenziandolo a livelli superiori di crescita e
abbondanza. Parallelamente a questo intervento estero, il potere di polizia
implementa una politica interna di previdenza sociale, prevenzione e controllo
del conflitto (FD.§§231-242), al fine di mitigare nei poveri il sentimento di
ingiustizia e di abbandono, neutralizzare il pericolo di esplosione sociale e
garantire la possibilità di una convivenza pacifica fra la classe legata al lavoro (FD.§243), la plebe emarginata (FD.§244) e la classe
più ricca della società civile (FD.§245).
2.5. Ma
non si vede in che senso la corporazione possa essere considerata la Aufhebung interna della società civile (FD.§255) quando non apporta nulla di
concreto per superare quella contraddizione. L’etica corporativa risulta
impotente di fronte al risentimento della plebe, di fronte al problema della
disoccupazione generalizzata e al fenomeno della saturazione del mercato
interno. La sua presenza nel testo hegeliano non corrisponde, quindi, a una necessità immanente al movimento
dell’economia borghese, bensì, a dispetto di Hegel, solamente a una sua
decisione personale.
Il suo
progetto etico esigeva un approfondimento della parziale riconciliazione
consumata dal potere di polizia poiché, anche se controllata, lasciava in piedi
la divisione classista della struttura sociale. Hegel, allora, aggiunse per
conto proprio un quarto momento civile al fine di creare le condizioni sociali
propizie per la realizzazione dell’unità concreta nella sfera dello stato. Fu così
che resuscitò la figura storicamente anacronistica della corporazione – un
resto medievale nella Germania del suo tempo –, del tutto estranea alla
razionalità della società capitalista ma mirabilmente funzionale con le mete
contemplate nel suo progetto politico.
2.6.
Sviluppando il concetto di proprietà in ambito del diritto astratto Hegel
scrive: “Nel rapporto a cose esteriori il razionale
è che io possegga proprietà [...]. Che
cosa e quanto io possegga, è
[invece] un’accidentalità giuridica” (FD.§49). “L’istanza talora avanzata
dell’uguaglianza nella spartizione
della terra o magari del patrimonio ulteriormente disponibile – segnala
nell’Annotazione corrispondente – è un intellettualismo [...] vuoto e
superficiale”. Facendo appello a ragioni simili a quelle qui esposte da Hegel,
sarebbe possibile argomentare: in relazione alle crisi economiche, la cosa
razionale è che siano superate. Quanto profondo debba essere questo superamento
è però contingente per l’etica. L’esigenza che raggiunga un livello di
riconciliazione completa dei fini individuali e universali – come quella
vagheggiata da Hegel (FD.Ann.§258) – costituisce un giudizio dell’intelletto
vuoto e superficiale.
3. Ipotesi secondaria: nel passaggio dalla
società civile allo stato ci sono, a rigore, non una ma due linee di sviluppo (tre con l’amministrazione della giustizia),
parallele e indipendenti tra loro, distinguibili di per sé nonostante
l’arbitraria articolazione unilineare con cui sembrano ordinati (sarebbe meglio
dire “confusi”) i loro rispettivi momenti nell’esposizione del capitolo.
3.1.
Ogni linea obbedisce a principi etici distinti.
3.1.1. Una corrisponde al movimento delle disuguaglianze patrimoniali (FD.§200), che condizionano l’effettiva
partecipazione del singolo al patrimonio generale essendo, al tempo stesso, un
risultato di questa partecipazione (ossia, a. Sistema dei bisogni). Il suo
spiegamento si spezza con la contrapposizione delle classi sociali (FD.§243),
la generazione della plebe (FD.§244) e il fenomeno della sovrapproduzione
(FD.§245) (cioè, b. Crisi economiche). Culmina recuperando il suo equilibrio –
un equilibrio relativo ma reale e concreto – mediante l’implementazione di
politiche di previdenza sociale, prevenzione e controllo del conflitto
(FD.§§231-242) e di una politica di espansione coloniale (FD.§§246-248)
(pertanto, c. Potere di polizia). Questo movimento concettuale sfocia
necessariamente nello stato, unica istanza in grado di pianificare e
implementare questa serie di politiche interne ed estere.
3.1.2. La seconda linea – che Hegel privilegia alla precedente –
corrisponde, invece, all’argomento della differenza
delle abilità. Nasce con il principio della divisione del lavoro (FD.§198)
e la mutua dipendenza che essa genera (FD.§199); anche qui è “condizione per
la” e, contemporaneamente, “conseguenza della” partecipazione del singolo al
patrimonio generale (FD.§200) (a. Sistema dei bisogni). Si va consolidando
mentre si articola come una totalità organica di sottosistemi cetuali
(FD.§§201-207) (cioè, b. Stände).
Infine sfocia in (c.) l’unità etica della corporazione (FD.§§250-255). Anche
qui trascende l’ambito civile e si proietta nella sfera dello stato
determinando la struttura interna della sua organizzazione politica (FD.§290):
dallo Stand agricolo deriva la camera
dei senatori (FD.§§305 e ss.), da quello industriale quella dei deputati
(FD.§§308 e ss.). Porta a compimento in questo modo – almeno in apparenza – la
missione etica per la quale fu generata: riconciliare senza fratture il
principio civile della particolarità con quello politico dell’universalità.
3.2.
Ogni linea di sviluppo corrisponde a logiche differenti.
3.2.1. Lo spiegamento della differenza delle abilità riproduce un modello
evolutivo retto e ascendente. Mancando una frattura intermedia non si origina
lì la Notwendigkeit di una Aufhebung dialettica. La sua proiezione
sul terreno politico potrà obbedire a un postulato del dover essere, a un
progetto personale dell’autore, ma in nessun modo a una ragione interna alla
cosa stessa.
3.2.2. Dallo spiegamento delle disuguaglianze patrimoniali deriva, invece,
la più esatta evidenza della necessità
che la libertà di mercato ha di una regolazione e pianificazione statale. In
nessun altro sviluppo si mostrerà con tanta nitidezza in che senso lo stato
costituisca il “verace fondamento” della società civile, la sua condizione di
possibilità. In nessun altro spiegamento concettuale si evidenzierà in modo
tanto chiaro l’ingenuità della tesi di non intervento impiegata dalla teoria
economica classica.
3.3.
Cercando di neutralizzare le sue pericolose conseguenze socioeconomiche, Hegel
ha deciso di subordinare il principio delle disuguaglianze patrimoniali a un
modello cetuale e corporativo, giustificato con l’argomento ovvio ma
irrilevante, anacronistico e inconsistente della differenza delle abilità.
Irrilevante: Hegel è dovuto ricorrere alla nozione di Klasse (FD.§243, Agg.§244, §245, Ann.§253) giacché con quella di Stand non avrebbe potuto
concettualizzare le contrapposizioni socioeconomiche provocate dalle crisi
cicliche. Anacronistico: l’autore stesso riconosce la moderna eliminazione
delle istituzioni corporative (FD.Ann.§245, Agg.§255, Agg.§290). Inconsistente:
dietro la facciata cetuale-corporativa della società civile e dello stato
fondato sulla rappresentazione politica di interessi teoricamente settoriali si
nascondono, senza troppa dissimulazione, irriducibili relazioni di classe: con
la nozione di Stand agricolo Hegel si
riferisce, in realtà, alla classe dei proprietari terrieri (FD.§203 e Ann., Ann.§253,
§§305-306); con quella di Stand
industriale, alla classe dei capitalisti industriali (FD.§310 e Ann.). Così, la
riconciliazione politica del particolare e dell’universale, che Hegel proclama
al termine dell’opera come realizzazione della libertà, arriva solo a
consumarsi come privilegio di un settore minoritario della società civile. Il
che equivale a dire che lo stato hegeliano, in apparenza cetuale e corporativo,
è, per suo stesso concetto, uno stato di grandi proprietari. Ecco perché la
nostra proposta di eliminare questa linea argomentativa non può avere altra
conseguenza che quella di assumere ciò che in ogni modo il progetto corporativo
di Hegel non ha potuto evitare: uno stato contaminato dalla frattura classista
della struttura sociale.
3.4.
Relegando in secondo piano lo spiegamento delle disuguaglianze patrimoniali –
ossia ciò che di dialettico c’è nella società civile – in favore dell’argomento
delle differenza delle abilità, eretto a colonna portante del suo sistema
etico, Hegel ha ristabilito in maniera fittizia la corrispondenza strutturale
tra logica e diritto, eclissata dalla scissione classista, ricacciando il
movimento civile sui binari concettuali predeterminati dalla Scienza della logica. Il fatto è che
tale simmetria – ammessa come presupposto nella sua opera politica
(FD.Pref.p.40, S.4; §2; Ann.§7; §§31
y 33) – garantiva che l’unità finale raggiunta al di sopra di ogni dualismo
nella sfera del puro pensiero – sintesi dell’idea assoluta – si sarebbe dovuta
imporre anche nel campo del diritto, superando infine tutte le opposizioni
economiche, sociali e politiche – riconciliazione dello stato assoluto –. Fu
questa ossessione di plasmare un’unità etica senza fratture che portò Hegel a
perdere di vista la Wirklichkeit del
concetto e impregnare la sua filosofia politica di uno spirito normativo che
egli stesso screditava come utopico e astratto.
4. Terza ipotesi: la dialettica delle
disuguaglianze patrimoniali pone nella società civile la necessità di due
movimenti di trapasso: al mercato mondiale-coloniale, da un lato (FD.§246), e
allo stato, dall’altro (FD.§256). Perché, è chiaro, senza stato la società dei
produttori privati non sarebbe capace di estendere il commercio su scala
universale (FD.§247), né di implementare una politica di colonizzazione
sistematica (FD.§248), condizioni inesorabili per superare gli squilibri
economici che, con le loro contrapposizioni classiste, minacciavano di far
crollare l’intero sistema capitalista di produzione e con lui lo stesso potere
statale. Per aspirare, allora, a una reale – anche se sempre limitata e
relativa – riconciliazione civile e politica delle classi sociali – e non
potrebbe stare in piedi diversamente – lo stato deve [muss] subordinare la sua sovranità interna alla cieca necessità del mercato mondiale.
Hegel
considerava gli stati “individui sovrani” (FD.§321), “autonomi” (FD.§§ 322,
332), “indipendenti” (FD.§§322, 330), “potenze assolute” (FD.§§323, 331),
“interi [Ganze: un tutto] appagantisi
entro di sé” (FD.§332). Non ammetteva, pertanto, la possibilità di “una volontà
universale costituita a potere sopra di essi” (FD.§333). Ecco perché, secondo
lui, il diritto politico internazionale non avrebbe potuto adottare nient’altro
che la forma contingente – cioè non soggetta a necessità alcuna – di un “dover essere” (FD.§330). Ma il commercio
universale, operando come una sorta di sistema internazionale dei bisogni,
genera, fra gli stati particolari, diritti e obblighi, non in funzione di
imperativi etici esterni o soggettivi – passibili pertanto di essere accettati
o rifiutati con impunità –, bensì in virtù della dipendenza reciproca che
genera la connessione multilaterale dei mutui bisogni e produzioni. E anche se
questa riconciliazione etica è imperfetta, e per quanto la guerra si mantenga in
essa come una possibilità sempre latente, ancora così il mercato
mondiale-coloniale si rivela, concettualmente, come il vero risultato
dell’eticità e, per lo stesso motivo, chiave di intellegibilità e fondamento
ultimo della Filosofia del diritto.
4.1. Al
di sopra della molteplicità degli stati particolari si erge, quindi, la
totalità più ampia – questa, in verità, unica, indipendente e autonoma – del
mercato mondiale-coloniale che, pertanto, reclama il proprio diritto come nuova
figura dello spirito del mondo. Un individuo pienamente universale, anche se in
alcun modo riconciliato nei termini che Hegel pretendeva, dal momento che era
nato e cresciuto spezzato dalla frattura del colonialismo, il neocolonialismo e
i molteplici modi della dipendenza. Nel contesto della totalità del sistema
economico internazionale il progetto hegeliano di una Aufhebung etica assoluta diventa ancora meno realizzabile.
4.2.
Hegel concepì il mercato mondiale-coloniale come la condizione di possibilità
della società civile borghese, come valvola di sfogo per la sovraofferta di
mano d’opera e l’eccesso di mercanzie generati dagli squilibri produttivi. Si
tratta di una configurazione multilineare in cui l’arretramento e il progresso
intervengono come momenti necessari di una stessa totalità. Tuttavia, e
sorprendentemente, questa totalità è assente e non conta, per lui, nella storia
moderna dello spirito. Il fatto è che arrestando lo spiegamento delle
disuguaglianze patrimoniali, Hegel snaturò la connessione dialettica interna
fra la società civile e lo stato, e disarticolò la relazione esterna (anche se
esterna solo in apparenza) di questi con il contesto economico mondiale. Fu
così che la realtà dello spirito rimase – in direzione opposta alla storia del
suo tempo – limitata e circoscritta alla sfera dello stato, una sfera
attraversata, superata e rimpiazzata dalla complessa trama delle relazioni
economiche internazionali.
4.3.
Furono proprio i teorici della dipendenza – non invano tributari della logica
di Hegel – che riscattarono il mercato mondiale-coloniale come totalità etica
più ampia e chiave di intellegibilità della storia moderna e contemporanea. Si
capisce, allora, che esaminando e ricostruendo il concetto hegeliano di società
civile da questa prospettiva latinoamericana non abbiamo fatto altro che
ripensare a Hegel dal suo stesso orizzonte concettuale.
BIBLIOGRAFIA
Opere di Hegel:
(FSJ)
(1805-1806) Filosofia dello spirito
jenese, traduzione di G. Cantillo, Roma-Bari 2006. Jenaer Systementwürfe III, tomo 8 di G.W.F.Hegel. Gesammelte Werke, ed. Rolf-Peter
Horstmann, Hamburg 1976.
(FS) (1807) Fenomenologia dello Spirito, traduzione di V. Cicero, Milano 2006. Phänomenologie
des Geistes, ed. H-F Wessels y H. Clairmont, Hamburg
1988.
(LFD) (1818-1819) Lecciones sobre Filosofía del derecho,
Berlín 1818/1819, según los manuscritos de G. Homeyer y P. Wannenmann,
traduzione dal tedesco di Luisa H. de Meyer, Morón 1983.
(FD)
(1821) Lineamenti di filosofia del
diritto. Diritto naturale e scienza dello stato in compendio, traduzione di
G. Marini, Roma-Bari 2005. Grundlinien der Philosophie des
Rechts oder Naturrecht und Staatswissenschaft im Grundrisse, ed. Johannes Hoffmeister, Hamburg 1955. Per le Aggiunte, che E. Gans ha incluso
nella sua edizione del 1833, abbiamo consultato l’edizione di Eva Moldenhauer e
Karl M. Michel, Frankfurt 1982.
(LSF) (1825-1826) Lezioni sulla storia della filosofia (più i manoscritti hegeliani
relativi alle introduzioni ai corsi del 1820 e del 1823), traduzione di R.
Bordoli, Roma-Bari 2009. Einleitung in die Geschichte der
Philosophie, ed. Johannes
Hoffmeister, Hamburg 1966.
(E) (1830) Enciclopedia delle scienze filosofiche, traduzione di V. Cicero,
Milano 2000. Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften
im Grundrisse, ed. Friedhelm Nicolin und Otto Pöggeler,
Hamburg 1991.
(SL) (1832) Scienza della logica, trad. Arturo Moni, rev. della trad. Claudio
Cesa, Laterza, Roma-Bari 1984. Wissenschaft der Logik. Die Lehre vom Sein, ed. Hans-Jürgen Gawoll, Hamburg 1990.
Altre opere citate:
Albizu Edgardo L., (2000) Hegel, filósofo del presente, Buenos Aires 2000.
Amengual Gabriel, (1986) “Introducción” a Estudios
sobre la Filosofía del derecho de Hegel, AA.VV., Madrid 1989, pp. 11-65.
Bobbio Norberto, (1967) Hegel y el iusnaturalismo, in Estudios sobre la Filosofía del derecho de
Hegel, AA.VV., Madrid 1989, pp. 377-406.
Bourgeois Bernard, (1972) El pensamiento político de Hegel, Buenos
Aires 1972.
Dotti Jorge, (1983) Dialéctica y derecho. El proyecto
ético-político hegeliano, Buenos Aires 1983.
Dussel Enrique, (1985) La producción teórica de Marx. Un comentario
a los Grundrisse, México 1985.
Habermas
Jürgen, (1976) Per la ricostruzione del
materialismo storico, traduzione
di F. Cerutti, Milano 1979.
Ilting Karl-Heinz, (1971) La estructura de la “Filosofía del derecho”
de Hegel, in Estudios sobre la
Filosofía del derecho de Hegel, AA.VV., Madrid 1989, pp. 67-92.
Llanos Alfredo, (1987) Notas
y comentarios a propósito de su traducción de Fundamentos de la filosofía del derecho de Hegel, Buenos Aires
1987.
Marcuse
Herbert, (1941) Ragione e rivoluzione.
Hegel e il sorgere della “teoria sociale”, traduzione di A. Izzo, Bologna
1968.
Marini
Giuliano, (1979) Struttura e significati
della società civile hegeliana, in Il
pensiero politico di Hegel, Roma-Bari 1979, pp. 57-82.
Marx
Karl, Engels Friedrich, (1835-1895) Opere
complete, traduttori vari, Roma 1972-
(1845) L’ideologia tedesca, traduzione di F. Codino, Roma 2000.
Marx
Karl, (1847) Miseria della Filosofia,
traduzione di L. Maitan, Roma 1968.
(1859) Per la critica dell’economia politica,
traduzione di E. Cantimori Mezzomonti, Roma 1974.
(1873) Il capitale. Critica dell’Economia politica,
Libro primo, traduzione di D. Cantimori, Torino 1975.
Mazora Martín, (1994) Hegel: dialéctica de la Sociedad
civil. ¿Diferencia de las habilidades o desigualdad de los patrimonios?, in El pensamiento en los umbrales del siglo XXI,
AA.VV., Buenos Aires 1994, pp. 181-184.
(1997) Hegel: Dialéctica económica e historia universal, in Saber del Tiempo, Tiempo del Saber,
AA.VV., Buenos Aires 1997, pp. 115-122.
Pelczynski Zbigniew, (1971) La concepción hegeliana del Estado, in Estudios sobre la Filosofía del derecho de
Hegel, AA.VV., Madrid 1989, pp. 249-288.
Peperzak, Adriaan, (1983) Los fundamentos de la ética según Hegel,
in Estudios sobre la Filosofía del
derecho de Hegel, AA.VV., Madrid 1989, pp. 93-120.
Prieto Fernando, (1983) El pensamiento político de Hegel, Madrid
1983.
Ribeiro
Darcy, (1967) Le Americhe e la civiltà, volume
primo, traduzione di A. Pescetto, Torino 1975.
(1968) Il processo civilizzatore. Tappe
dell’evoluzione socioculturale, traduzione di A. Pescetto, Milano 1973.
Riedel Manfred, (1982) El concepto de la “sociedad civil” en Hegel
y el problema de su origen histórico, in Estudios sobre la Filosofía del derecho de Hegel, AA.VV., Madrid
1989, pp. 195-222.
Smith
Adam, (1759) Teoria dei sentimenti morali,
traduzione di C. Cozzo, Roma 1991.
(1776) Ricerche sopra la Natura e le Cause della
Ricchezza delle Nazioni, traduzione di A. Campolongo, Torino 1965.
Valcárcel Amelia, (1988) Hegel y la Ética, Barcelona 1988.
Vermal
José Luis, (1988) “Comentario introductorio” (pp. 11-32) e note a proposito
della sua traduzione dei Lineamenti di
filosofia del diritto di Hegel, Barcelona 1988.
[1]
L’espressione “società civile” [bürgerliche
Gesellschaft] acquista con Hegel un significato fondamentalmente sociale di
fronte al significato essenzialmente politico inerente la nozione classica di societas civilis in vigore ancora nel secolo XVIII in autori come Hobbes, Locke,
Kant e Wolff. Fino ad allora – segnala Riedel (1982: 202-208) –, “cittadini”
erano solamente quegli uomini che vivevano nello status civilis sive politicus, e su questo status si basava anche la societas
civilis, che non poteva essere tema di una considerazione sociale, bensì
unicamente politica. La società civile (koinonia
politikê in Aristotele, societas
civilis in Cicerone) era lo stato: polis
o civitas. Stato e società non si
erano ancora separati tra loro, piuttosto formavano strutture omogenee. Coloro
che, al di sotto della sfera di cittadinanza politica pubblica, realizzavano,
nell’ambito privato della casa, i lavori necessari per coprire i bisogni
vitali, erano privi della posizione politica che conferiva la civilitas. Fu la rivoluzione industriale
a trasferire l’economia (oikonomía,
fino ad allora circoscritta alla sfera dell’oikos,
la società domestica) all’ambito della società che, per questo motivo, cessò di
essere sinonimo di società politica. Con l’emancipazione della società civile
dal suo antico significato, il cittadino
dello stato divenne al tempo stesso cittadino
privato che si prende cura di sé e della propria famiglia, lavora, stipula
contratti ecc., ma, parimenti – conclude Riedel –, lavora anche per
l’universale, poiché lo ha come obiettivo.
In seguito al fatto che il tedesco non dispone di due
parole per esprimere i significati di “cittadino privato” e “cittadino dello
stato”, Hegel si vide nella necessità di chiarire che “nella società civile
l’oggetto è il [Bürger] cittadino
(come bourgeois)” (FD.Ann.§190).
Così, quindi, il Bürger, in quanto
membro della società civile, è il cittadino privato, “la persona concreta, la
quale come persona particolare è a sé fine” (FD.§182), cioè, in ultima istanza,
il borghese. Mentre bürgerliche
Gesellschaft significa, per estensione, la società dei produttori privati,
la moderna società borghese, società dei proprietari privati, della produzione
capitalista industriale che Hegel vedeva svilupparsi storicamente in
Inghilterra (FD.Ann.§245) e plasmarsi teoricamente nell’economia politica
classica (FD.Ann.§198). Ma a differenza della tradizione liberale, che pensa la
società in opposizione allo stato, Hegel concepì tale relazione a partire dalla
funzione “mediatrice” degli Stände e
le corporazioni (FD.§302), istituzioni che collegherebbero – questa la pretesa
hegeliana – l’eticità civile con l’eticità politica, gli interessi particolari
con quelli universali della comunità, in una maniera tale che la società civile
e lo stato appaiono, nella sua Filosofia
del diritto, come momenti distinguibili (segno dei nuovi tempi) ma al tempo
stesso inseparabili (sopravvivenza della concezione politica classica) del
sistema dell’eticità.
[2] Marx
(1873: 19): “La cosa che più incisivamente fa sentire al borghese, uomo
pratico, il movimento contraddittorio della società capitalistica – scrive nel
poscritto alla seconda edizione tedesca de Il
Capitale – sono le alterne vicende del ciclo periodico percorso
dall'industria moderna, e il punto culminante di quelle vicende: la crisi
generale. Essa è di nuovo in marcia, benché ancora sia agli stadi preliminari;
e per l’universalità del suo manifestarsi, come per l’intensità dei suoi
effetti inculcherà la dialettica perfino ai fortunati profittatori del nuovo
sacro impero borusso-germanico”.
[6] I verbi tedeschi müssen e sollen significano “dovere”, anche se il primo ha implicitamente
una sfumatura di necessità e inesorabilità che il secondo – più vicino alla
sfera morale – non ha. Così, per esempio, muss
zeigen significa “deve mostrare”, sottintendendo però “ineludibilmente”.
Dato che in italiano non è possibile fare questa distinzione, quando sarà il
caso segnaleremo fra parentesi quadre il verbo müssen o le sue forme coniugate.
[9] Dotti
(1983: 18): “Hegel porta in primo piano la correlazione tra mediazione idealistica e conciliazione etica [cioè, tra Logica ed
Etica] dal momento che il filo conduttore del suo pensiero consiste nel
tentativo di superare ogni forma di dualismo mediante il riconoscimento della
realizzazione o presenza effettiva, nel mondo spirituale, di quelle categorie o
figure ideali che la logica espone nella loro purezza”. In certa misura, la
critica che Jorge Dotti dirige al concetto di eticità della Filosofia del diritto di Hegel – il passaggio
citato condensa la sua tesi centrale – costituisce un presupposto proprio per
la nostra interpretazione. Alla fine del saggio (Appendice I) presentiamo un
riassunto delle obiezioni che tale critica secondo noi ha meritato.
[10] I
brevi ma significativi e niente affatto ambigui riferimenti alla nozione di
classe (Klasse) appaiono in FD.§§243, Agg.244 e 245, esattamente i paragrafi in
cui Hegel descrive il fenomeno delle crisi produttive. La nozione di classe
appare nuovamente, per la quarta e ultima volta, in FD.Ann.§253, in occasione di
un commento in cui Hegel fa riferimento a
FD.§244.
[11] La
traduzione in italiano di Stand
(istituzione sociale, economica e politica che affonda le sue radici nel
Feudalesimo) è problematica. Nella sua traduzione delle Grundlinien (FD.), Marini
la traduce con ‘stato’ tra virgolette, riservando stato senza virgolette per
tradurre Staat (istituzione suprema
del potere politico). Si può tradurre anche con “ordine” o “ceto”. Per evitare
confusioni, nel nostro lavoro utilizzeremo direttamente – salvo poche eccezioni
– la parola tedesca.
[12] Alcune
volte Marini traduce Geschicklichkeit
con “attitudine” (FD. §§200, 251 e 310), e altre con la parola – con un
significato più concreto, e che noi preferiamo – di “abilità” (FD. §§199, 207 e
Ann.308).
[14] La
nostra interpretazione contempla, quindi, che l’amministrazione della
giustizia, il potere di polizia e la corporazione non costituiscono fasi
successive di uno stesso sviluppo concettuale bensì tre mediazioni parallele
tra il sistema dei bisogni e lo stato (più avanti torneremo a trattare questo
problema). Nel libro ci occupiamo solo tangenzialmente del concetto di
amministrazione della giustizia, tenuto conto della sua posizione marginale
rispetto alla problematica specifica posta dal nostro lavoro.
[15] Due
ragioni ci spingono a tradurre la nozione hegeliana di Polizei con l’espressione “potere di polizia”. In primo luogo,
perché con quel termine Hegel fa riferimento non a ciò che intendiamo oggi con
la parola “polizia” – traduzione letterale di Polizei – bensì al potere dello stato incaricato di sorveglianza,
prevenzione e regolamentazione interna del sistema dei bisogni e, al tempo
stesso, al potere statale di regolamentare le risorse e i benefici esterni che
fornisce una colonizzazione sistematicamente organizzata (FD.§248). E, in
secondo luogo, perché in FD.§287 Hegel stesso utilizza l’espressione polizeilichen Gewalten, cioè potere di
polizia. In quel punto spiega che potere di polizia e potere giudiziario – “i
quali più immediatamente hanno relazione con l’elemento particolare della
società civile, e fanno valere in questi fini l’interesse generale” –
costituiscono istanze del potere governativo [Regierungsgewalt] dello stato.
[16] È
chiaro che anche quei princìpi metodologici – ci riferiamo, fondamentalmente, a
1) la Notwendigkeit immanente come
nucleo del concetto (FD.§2 e rispettiva Ann.); 2) la immediatezza, la
riflessione e la Aufhebung come
momenti di un divenire concettuale (FD.§33); 3) il necessario adeguamento
dell’ordine espositivo all’ordine del concetto (FD.§33); e 4) la totalità come
verità dei suoi momenti particolari (FD.Ann.§3) – implicano una subordinazione
della Filosofia del diritto alla Scienza della logica. Tuttavia, tale corrispondenza
metodologica non deve necessariamente raggiungere – come ha fatto Hegel nelle
sue opere – la dimensione di una corrispondenza strutturale che in maniera predeterminata obblighi ogni concetto a
chiudere il circolo del suo sviluppo globale con un superamento assoluto di tutte le differenze interne
che hanno dinamizzato fino a quel punto la sua evoluzione logica. Prova di
questa corrispondenza strutturale è l’analogia esistente tra il periplo del
concetto puro nella SL (che sfocia nell’idea“assoluta”),
il divenire della coscienza nella FS (che termina nel sapere “assoluto”), e lo spiegamento della
libertà nella FD (che culmina in uno stato ugualmente “assoluto”).
Hegel, certamente, definisce lo stato come la “unità
sostanziale”, come l’“assoluto immobile fine in se stesso, nel quale la libertà
perviene al suo supremo diritto” (FD.§258); in questa “unione – dice – la
destinazione degli individui è di condurre una vita universale” (FD.Ann.§258).